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Esperti SIE: ecco i dieci segnali per riconoscerli

I disturbi respiratori nel sonno e le apnee notturne sotto i riflettori del 110mo Congresso Nazionale della SIOeChCf – Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico Facciale in corso a Bergamo Fiera fino al 25 maggio. “Il tema delle Apnee notturne e, quindi, della cosiddetta Osas – malattia ostruttiva delle vie respiratorie nel sonno -, è diventato negli ultimi anni di grande attualità perchè si sono finalmente posti al centro e approfonditi i tantissimi problemi e le patologie correlate che influiscono in maniera sostanziale sulla qualità di vita del paziente. In questo convegno specialisti di primordine del settore si sono alternati sul palco, ed è giusto che questo argomento trovi il suo canale di sensibilizzazione verso i pazienti affinchè non si sottovaluti questo problema che ha un impatto sociale sia in termini assistenziali che terapeutici non indifferenti”, introduce Giovanni Danesi, presidente del Congresso. “È una patologia che interessa ben 30 milioni di italiani, uomini e donne. La maggior parte dei casi è in forma lieve e si manifesta di solito con un russamento semplice – spiega il Andrea De Vito, Direttore dell’UO di Otorinolaringoiatria negli ospedali di Forlì e Faenza, dottorato PhD in Medicina del Sonno e coordinatore della commissione scientifica nazionale sui disturbi del sonno della SIO&ChCf – . Ci sono, però, ben 4 milioni di italiani a rischio di gravi conseguenze perché, nei loro casi, l’interruzione del respiro notturno avviene per 15 o più volte l’ora. Ciò significa che per 15 volte, tutti gli organi del corpo soffrono di un’ischemia temporanea”. L’apnea è un’occlusione delle vie respiratorie a livello faringeo. Avviene di notte perché dormendo perdiamo tono muscolare e, conseguentemente, è più facile che le strutture anatomiche della bocca e della gola collassino. Negli adulti la principale causa di apnee notturne è l’obesità e più in generale l’essere in condizioni di sovrappeso: il deposito di grasso sia sul collo che sull’addome determina l’occlusione delle vie respiratorie a livello faringeo mentre si dorme, causando l’apnea respiratoria. A questo si possono poi aggiungere fattori genetici e fattori anatomici come le malformazioni connesse a sindromi rare o più semplicemente l’aumento di volume di alcune strutture della gola, per esempio le tonsille. In tutto il mondo, perciò, le apnee notturne crescono all’aumentare del sovrappeso nella popolazione. Anche nei bambini le apnee sono frequenti (tra l’1 e il 5% della popolazione italiana) e si manifestano principalmente tra i 4 e i 6 anni (ma possono iniziare anche a 2 anni). La causa principale è l’ipertrofia cioè l’ingrandimento adeno-tonsillare. “È importante la vigilanza dei genitori nel cogliere le irregolarità nel respiro notturno – riprende De Vito – perché chi soffre di apnee da bambino, se non viene trattato ne soffrirà sicuramente anche da adulto”. Oggigiorno, 8 bambini su 10 che si sottopongono all’asportazione chirurgica delle tonsille, lo fanno in seguito a diagnosi di apnea. Ma è negli adulti che le conseguenze delle apnee notturne sono più gravi. “Quando gli episodi superano i 15 all’ora – prosegue De Vito – l’apnea diventa un fattore di rischio indipendente per le patologie cardiovascolari e favorisce l’insorgenza del diabete, del reflusso gastroesofageo e dell’ipertensione, a loro volta causa di malattie dell’apparato cardiocircolatorio. Le apnee notturne, inoltre, creano forte sonnolenza diurna, diventando una causa pericolosissima di incidenti stradali e colpi di sonno alla guida”. Oggi le cure mediche messe a punto per questa patologia possono essere considerate all’avanguardia. “La perdita di peso rappresenta la principale forma di prevenzione e cura delle apnee notturne. Poi ci sono gli ultimi ritrovati scientifici – ha spiegato De Vito – oltre alla terapia ventilatoria che rimane sempre la prima scelta, tra le cure d’avanguardia, si contano le cosiddette ‘oral appliances’, ovvero un byte notturno da mettere in bocca simile a quelli impiegati dai dentisti e utile ad aumentare lo spazio contenuto all’interno della bocca e di conseguenza aprire il palato, mantenendo aperte le vie aeree. Un’altra opzione è quella di un neurostimolatore che, inserito chirurgicamente nella zona del mento, ha la funzione di stimolare mentre si dorme, grazie alla prossimità al nervo ipoglosso, i muscoli della lingua e facilitare la respirazione notturna. Si tratta di un’applicazione medica ancora non ancora diffusa in Italia ma utilizzata su larga scala negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei”. In entrambi i casi l’efficacia della terapia dipende, in parte, dalla stabile riduzione del peso corporeo. Ad oggi però anche la chirurgia ricostruttiva del faringe (faringoplastica) rappresenta, in casi selezionati, una valida terapia per le apnee nel sonno.

Fonte: askanews.it

Condizioni socio-economiche e igienico-sanitarie diverse dal passato

Il ritrovamento lungo la costa salentina tra Lecce e Otranto, di una zanzara Anopheles sacharovi, rinvenuta in Italia dopo circa 50 anni dalla ultima segnalazione “non deve destare allarme per un possibile ritorno della malaria in Italia”. Così l’Istituto superiore di sanità in una nota.

Questa zanzara – scoperta grazie a una ricerca congiunta tra Istituto Superiore di Sanità, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata e Azienda Sanitaria Nazionale (ASL) di Lecce pubblicata sulla rivista “Parasites and Vectors” – insieme ad un’altra specie, Anopheles labranchiae, era associata alla trasmissione della malaria prima che la malattia fosse eradicata dal paese nel 1970. La scoperta di Anopheles sacharovi – spiega l’Iss – non deve però destare allarme per un possibile ritorno della malaria in Italia in quanto le condizioni socio-economiche e igienico-sanitarie del nostro paese sono certamente molto diverse da quelle del passato. Inoltre una specifica Circolare Ministeriale dà chiare indicazioni per la costante sorveglianza dei casi umani di malaria importata e stabilisce gli interventi da mettere in atto sul territorio in presenza di presunti casi autoctoni.

Certamente la scoperta è rilevante dal punto di vista scientifico e sanitario perché, dopo le opere di bonifica e la campagna di lotta antimalarica del secondo dopoguerra, questa zanzara era ritenuta ormai scomparsa dal nostro territorio. D’altro canto, – prosegue l’Iss – appare chiaro che la sorveglianza entomologica è di estrema importanza ed è necessaria per prevenire il rischio di reintroduzione di questa malattia nel nostro paese. Questa ricerca infatti, finanziata dal Ministero della Salute e recentemente anche da fondi del Pnrr, è stata avviata in Puglia e Basilicata sin dal 2018, in alcune aree storicamente endemiche per la malaria.

Fino ad ora erano state identificate solo Anopheles labranchiae, già segnalato in altre regioni italiane e ritrovato nel Gargano e nel Metaponto e Anopheles superpictus, ritenuto vettore secondario, presente in limitate aree della Basilicata. In entrambi i casi comunque le loro densità non sembrano epidemiologicamente rilevanti.

Alla fine del 2022, il ritrovamento in un’area rurale del leccese di un unico esemplare adulto, identificato molecolarmente come Anopheles sacharovi, ha dato l’avvio, l’anno successivo, ad una indagine entomologica mirata a confermarne la presenza e a ricercarne i focolai larvali. Larve di questa specie sono state ritrovate in aree naturali e protette, a basso o nullo impatto antropico; questo fa ipotizzare una sua presenza residuale anche nei decenni passati e un possibile lento ripopolamento, favorito dalla minore pressione delle attività umane e dall’assenza di trattamenti pesticidi ad uso agricolo, oltre che dai fattori climatici favorevoli.

Il ritrovamento di questa zanzara – conclude l’Iss – conferma, ancora una volta, la necessità di mantenere alta l’attenzione e rafforzare tutte le misure di prevenzione, oltre al monitoraggio entomologico per la sorveglianza dell'”anofelismo residuo”, così come si sta già facendo per le altre malattie trasmesse da zanzare, quali la dengue o la West Nile, con il Piano di Sorveglianza Nazionale delle Arbovirosi.


Fonte: askanews.it

Crescita record per la raccolta plasma ma l’autosufficienza è ancora più lontana. È il paradosso che emerge dalla seconda edizione di “The Supply of Plasma-derived Medicinal Products in the Future of Europe”, il convegno internazionale dedicato al plasma, patrocinato dal Ministero della Salute e organizzato dal Centro Nazionale Sangue, che ha rappresentato un’occasione di dibattito e confronto tra esperti e policy maker, associazioni di donatori e di pazienti ed istituzioni italiane, europee ed internazionali. Secondo i dati ancora preliminari, condivisi nel corso del convegno dagli esperti del CNS, per quanto riguarda le immunoglobuline, prodotto driver del mercato dei medicinali plasmaderivati, l’Italia nel 2023 ha raggiunto un livello di autosufficienza pari al 62%, inferiore di due punti percentuali all’anno precedente, quando la quota di autosufficienza era pari al 64. L’aspetto paradossale è rappresentato dai dati della raccolta del 2023 che, con i suoi 880mila chili di plasma, frutto delle generose donazioni di circa 1,5 milioni di donatori, ha raggiunto i livelli più alti di sempre per l’Italia. Ad allontanare il nostro Parse dal traguardo strategico dell’autonomia in materia di plasmaderivati è stato un aumento deciso della domanda di immunoglobuline, passata da circa 104 grammi ogni mille abitanti nel 2022 a 108 nel 2023. Il dato preliminare è in parte mitigato dall’aumento del livello di autosufficienza in materia di albumina, altro driver del mercato, che è passato dal 72% nel 2022 al 78% nel 2023, grazie anche a un calo della domanda. L’Italia, che è autosufficiente per quel che riguarda la raccolta di globuli rossi, deve quindi ricorrere al mercato internazionale per sopperire alla domanda di plasmaderivati ed integrare i medicinali, usati anche in terapia salvavita, prodotti a partire dal plasma raccolto a partire da donazioni volontarie, anonime e non remunerate. “La mancata autosufficienza di medicinali plasmaderivati resta un problema strategico per il sistema sanitario nazionale”, è il commento del direttore del CNS, Vincenzo de Angelis, a conclusione dei lavori del convegno e del confronto di esperienze e prospettive sul futuro della raccolta di plasma. “I dati, per quanto ancora preliminari – continua De Angelis – confermano la necessità di aumentare la raccolta attraverso azioni di sensibilizzazione rivolte ai possibili nuovi donatori, ma questo non basta. Bisognerà anche razionalizzare la domanda, specie di un prodotto come le immunoglobuline che sta trovando sempre più applicazioni a livello terapeutico. È un obiettivo su cui stiamo già lavorando con tanti partner italiani ed europei, perché il COVID ha dimostrato che, in situazioni particolari e spesso imprevedibili, non sempre il mercato internazionale può rispondere alla domanda dei nostri pazienti”.


Fonte: askanews.it